Rocco Palombella: “giornata importante. Mantenuto presidio di democrazia su un territorio solido”. Ilva: “Auspichiamo soluzione buon senso. No a scorciatoie. Troviamo soluzioni rispettose dell’ambiente. Vale anche per la Ferriera”. Via della Seta: “allargare a partecipazione ma con vincoli da parte del Governo”

“E’ una giornata importante perché si apre una sede nuova che per noi rappresenta una continuità e un rilancio dell’azione che i metalmeccanici e i pensionati della UIL di Trieste stanno svolgendo su questo territorio da anni. Abbiamo mantenuto aperto un luogo di democrazia punto di incontro e riferimento su un territorio solido”.

E’ con queste parole che il Segretario nazionale della UIL Rocco Palombella ha tenuto oggi a battesimo la nuova sede UIL in località Domio 33 a San Dorligo Della Valle (Trieste) dove si sono trasferiti gli uffici dei Pensionati della Stu Domio-Estero, della UILM metalmeccanici di Trieste e Gorizia, del Patronato ITAL UIL e del CAF UIL ospitati fino a poco tempo fa nella vecchia sede storica realizzata negli anni ’70 per volontà stessa dei lavoratori metalmeccanici ma ora bisognosa di interventi strutturali non più rinviabili.

L’importanza di mantenere il presidio sul territorio è stata sottolineata anche dal Segretario generale della UIL FVG Giacinto Menis, dalla Segretaria regionale della UIL Pensionati FVG Magda Gruarin e dai segretari della UILM di Trieste e Gorizia Antonio Rodà e della Stu dei Pensionati di Domio Angelo Semeraro. Alla cerimonia hanno preso parte anche il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Russo, la già segretaria della CCdL UIL di Trieste Adele Pino, il sindaco del Comune di San Dorligo della Valle Sandy Klun, con gli assessori ai Servizi sociali Franca Zerjal e alle Attività produttive e allo sviluppo economico Antonio Ghersinich e l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Muggia Luca Gandini.

Rocco Palombella, Segretario nazionale UIL nonché Segretario generale della UILM, ha tenuto a essere presente a Trieste prima di tornare a Roma per la cruciale vertenza dell’Ilva di Taranto.

“Oggi è una giornata importante anche per l’Ilva di Taranto. Hanno scioperato quasi l’80% dei lavoratori. Non accadeva dal 2017. I lavoratori avvertono il grande pericolo che il carico inquinante resti nella pancia del territorio tarantino, si chiuda la fabbrica e si perdano migliaia di posti di lavoro – ha spiegato, approfondendo anche a margine la tematica -. L’Italia produce circa 16 milioni di tonnellate di acciaio ne consumiamo circa 23 milioni. Taranto ad esempio ne produceva 5-6 milioni. Nel mondo si producono 2 miliardi di tonnellate di acciaio. Non solo in Paesi in condizioni di arretratezza ma anche in realtà come  Svizzera, Austria, Francia, Germania.. Se c’è una tecnologia per poterlo fare perché dobbiamo usare delle scorciatoie? Dobbiamo chiudere e basta? Perché non verificare come rendere l’azienda ecocompatibile, rispettosa delle persone, della natura, dell’ambiente? Auspichiamo che vi sia una soluzione di buon senso. Ripristinare il decreto è impossibile – ha aggiunto –  ma si può trovare una norma interpretativa che dica che man mano che Arcelor Mittal realizza gli interventi di ambientalizzazione previsti dalla legge cessa l’immunità. Poi non deve esserci immunità per nessuno. Chi commette reati li deve pagare”.

La necessità di trovare soluzioni di buon senso, nel rispetto di persone e ambiente, Palombella l’ha mutuata anche per la realtà locale, ad esempio per la Ferriera di Trieste che negli anni ha rappresentato una ricchezza e un simbolo dello sviluppo.

“Pur essendo una città piccola, Trieste ha rappresentato negli anni dal punto di vista strategico un valore aggiunto non solo nell’economia locale ma anche nazionale. Riteniamo che il Governo e quindi il sindacato nazionale debbano evitare che si continuino a chiudere e delocalizzare le realtà industriali o manifatturiere perché tutte le realtà che hanno delocalizzato non sono più tornate”, ha proseguito facendo riferimento alle più grandi crisi del territorio, come i casi Wartsila, Burgo, Sertubi. Lo stesso dicasi per l’intera realtà industriale del Friuli Venezia Giulia. “Internazionalizzare sì, delocalizzare no” è lo slogan a cui rifarsi.

“Dobbiamo provare a far ritornare qui le realtà che sono andate via. In questo l’Europa e il Porto Franco di Trieste giocano un ruolo fondamentale. Dobbiamo provare a tenere qui le nostre realtà – ha concluso facendo un cenno anche alla Via della Seta -. Allargare alla partecipazione va bene ma deve avvenire sempre con il controllo da parte dello Stato e vincoli precisi altrimenti diventiamo un paese del bengodi. Le multinazionali arrivano, applicano le leggi del loro Paese, portano i soldi all’estero e lasciano solo macerie sul nostro territorio. La Cina, ad esempio, non solo sta acquistando aziende di basso profilo professionale ma anche ad alto valore aggiunto e noi rischiamo di perdere la nostra strategicità”.

Il caso Safop, a Pordenone, ne è l’emblema: rilevata un paio d’anni fa è servita ad acquisire know-how e un mercato di riferimento e ora è destinata alla chiusura.