Rodà: transizione ecologica è sfida che il sindacato deve governare

“Per definire un nuovo modello di sviluppo sostenibile è necessario in piano per gestire la transizione ecologica che accompagni la trasformazione del nostro modello economico e produttivo. Un sindacato moderno deve saper governare questi processi senza temerli, ma guidandoli e indirizzandoli per coglierne le potenzialità. Al modello Impresa 4.0 quindi deve corrispondere anche un Lavoro 4.0 che sappia mettere al centro il valore della persona anche nel confronto con la crescita dei processi di robotizzazione”. Così il segretario della UILM di Trieste, Antonio Roda, aprendo il 2° Congresso territoriale dei metalmeccanici UIL di Trieste e Gorizia, alla presenza del segretario nazionale UILM, Rocco Palombella, del segretario confederale UIL Fvg Matteo Zorn e di Gorizia Andrea Di Giacomo, dei rappresentanti territoriali di Fiom, Confindustria Alto Adriatico, Fincantieri, Arvedi e Wartsila.

Rodà ribadisce nella sua relazione i punti chiave della UILM tra cui è centrale il Contratto nazionale, rinnovato in piena pandemia, come baluardo contro la precarietà che deve però essere accompagnato da una estensione della contrattazione di secondo livello. Tagliare a dipendenti e pensionati, ridurre l’orario a parità di salario, far costare di più i contratti a termine, potenziare la formazione continua, abbassare l’età pensionabile ai 63 anni ‘europei’ e modificare la Cigs e la Naspi perché non penalizzi i lavoratori con carriere discontinue e frammentarie, è la ricetta del sindacato. Cui si aggiunge, per quanto riguarda fenomeni nuovi, una richiesta di regolamentazione dello ‘smart working’, un apertura al salario minimo solo se coincidono con i minimi contrattuali e non si vada a sostituire il contratto di lavoro, e la difesa del reddito di cittadinanza finché accompagnato da efficaci politiche attive del lavoro.

Concetti condivisi a livello confederale da Zorn, che aggiunge la necessità di una maggiore azione contro la precarietà del lavoro e le diseguaglianze, ovvero contro il part-time obbligato e i contratti ‘pirata’, e cercare di dare un Contratto collettivo a quei 7 milioni di lavoratori in Italia che ne sono sprovvisti. I rinnovi dei contratti di oggi, con l’inflazione al 7%, aggiunge, non devono essere fatti con il parametro dell’Ipca al netto degli energetici. Poi come sindacato, conclude Zorn, bisogna garantire a tutti gli aumenti contrattuali collettivi, ma anche accettare in azienda la sfida del ‘merito’, trovando i parametri per collegarlo alla produttività.

La metalmeccanica a Trieste e Gorizia

Dalla ricognizione dello stato di salute delle singole aziende metalmeccaniche del territorio, fatta da Rodà nella sua relazione, emerge un’immagine in chiaro-scuro, in cui il chiaro è la prospettiva della transizione ecologica, e lo scuro la progressiva deindustrializzazione. Emblema della transizione, in anticipo sul Pnrr, è la Ferriera di Servola, dove con un accordo di programma e un accordo sindacale spinto proprio dalla UILM, è in corso una riconversione industriale. Abbattuta l’area a caldo, entro l’anno saranno ultimati i nuovi impianti di verniciatura e zincatura, pronti per il ritorno di una parte dei lavoratori attualmente in Cigs. Cassa che sarà però prorogata, aggiunge Giampietro Castano, responsabile della relazioni industriali del gruppo Arvedi, perché la burocrazia delle istituzioni e autorità locali, non ha ancora autorizzato la costruzione del capannone per l’espansione del laminatoio, né ha ancora provveduto a sdemanializzare l’area a freddo, e demanializzare l’ex area a caldo di proprietà dell’azienda.

I punti sani della metalmeccanica sono poi la Fincantieri, con carichi di lavoro garantiti fino al 2027, cui però la UILM chiede di rinnovare il Contratto integrativo, e di preferire il lavoro somministrato per contrastare le “zone d’ombra” che alcune ditte in appalto portano con sé; la Argus Security, ditta di elettronica che con una politica di magazzino si è resa immune alla carenza di componentistica dal mercato asiatico, e ora sta ampliando la produzione e stabilizzando i lavoratori somministrati. Situazione opposta invece alla System Sensor, che sia per una riorganizzazione a livello globale della proprietaria Honeywell, sia per la crisi della componentistica sta passando dalla cassa integrazione a “orari plurisettimanali”.

L’esempio chiaro della deindustrializzazione in questo momento è però la Flex di Trieste, sottolinea Rodà, dove si sta concretizzando una delocalizzazione “profetizzata” dalla UILM già nel 2015, quando la Nokia ha rilevato il sito da Alcatel-Lucent. Interessata solo al Hub logistico per conto di Nokia, con possibilità di operare in zona franca, la Flex vuole dismettere le attività di ‘assiemaggio’ e collaudo, mettendo a rischio 280 lavoratori su 570 tra diretti e somministrati.

Viene poi seguita con timore la Wartsila che seguendo una logica di compressione dei costi, evidenzia il segretario, ha sostituito la propria forza diretta con gli appalti, fino ad arrivare a poco più di 240 addetti su un totale di mille lavoratori. Su questo la Uil intende incalzare l’azienda affinché torni ad assumere nelle officine. Vi è inoltre una prospettiva, nell’ambito dei motori green, che l’ingegnerizzazione e la produzione dei prodotti possa essere relegata nel nuovo Smart Technology Hub a Wasa in Finlandia, lasciando a Trieste solamente l’assemblaggio.

Preoccupazione anche per la Nidec Asi, attiva nei motori elettrici per l’Oil&Gas, che a causa della situazione del mercato del petrolio dopo l’euforia russa, e la pandemia, ora è in stato di stagnazione con gli ammortizzatori sociali in scadenza. La speranza è una conversione verso il settore dell’acqua e navale, per cui sono in corso contatti con la Fincantieri. E poi l’Insiel, azienda informatica in-house della Regione Friuli Venezia Giulia, che si cerca di trasformare in un ‘service provider’. Visione a cui la UILM si oppone, spiega Rodà, intravedendo un rischio di perdita di competenze a favore di aziende fuori regione e rischio di esuberi.

La deindustrializzazione minaccia anche la transizione ecologica

Ad ammonire che la deindustrializzazione possa insinuarsi anche dentro la stessa transizione ecologica è il segretario UIL di Gorizia, Di Giacomo, evidenziando come si verifica paradosso di chiedere più energia elettrica, al contempo si chiede di chiudere le centrali a carbone e gas, come la A2a di Monfalcone, si dice no all’estrazione del gas dall’Adriatico, ai termovalorizzatori, esportando persino i rifiuti all’estero, da cui poi si importa l’elettricità senza però chiedersi come viene prodotta e quanto inquina.

E’ esattamente lo scenario su cui ammonisce il segretario nazionale UILM Paolmbella quando sottolinea che il anche all’interno dell’Unione europea i rapporti sono di concorrenza. ”Se l’Italia vuole chiudere il gap verso l’Europa e verso il Mondo, l’Italia non può perdere posti di lavoro né l’industria strategica, ma deve invece salvaguardare i propri asset industriali”. Per Palombella infatti il PNRR, voluto dai membri dell’Unione europea, è l’ultima chiamata per ammodernare l’Italia, cui sono stati concessi più fondi perché è il Paese più in difficoltà.