VIAGGIO NELLA MEMORIA 2019

ESPERIENZA FORTE, COINVOLGENTE E INDIMENTICABILE,
LA TESTIMONIANZA DI ANDREA GASPAROTTO.

Il giovane quadro della UILCA di Trieste tra gli oltre 50 ragazzi e ragazze delle strutture della UIL Nazionale partecipanti al viaggio nei luoghi dell’orrore della Shoah, a Cracovia e Auschwitz.

E’ un’esperienza “forte, coinvolgente” e che difficilmente potrà dimenticare quella che Andrea Gasparotto – 29 anni di Trieste, giovane quadro sindacale che da anni collabora con la UILCA del Friuli Venezia Giulia, Rsa e membro del coordinamento di sigla in Banca Generali – ha vissuto nel recente “Viaggio nella memoria 2019” organizzato dalla UIL nazionale sui luoghi della crudeltà e degli orrori della Shoah a Cracovia e Auschwitz.

Gasparotto è uno dei 50 giovani, ragazzi e ragazze provenienti dalle strutture UIL di tutta Italia, che hanno potuto comprendere in prima persona una delle pagine più buie e drammatiche della storia del secolo scorso. A loro la UIL ha voluto affidare un ruolo di testimoni e promotori di valori di umanità e solidarietà, libertà e tolleranza perché – ha spiegato la UIL le motivazioni profonde di questo progetto – “la democrazia va coltivata ogni giorno”. Al rientro dal vissuto, Gasparotto ha condiviso in questa intervista la sua testimonianza di quanto vissuto.

Cosa l’ha spinta a partecipare a questa esperienza?

“Quando ho scelto di candidarmi per questo viaggio non sapevo bene cosa avrei visto. E a posteriori posso confermare che non è immaginabile.

Credo che qualunque cosa nella propria esistenza vada non solo studiata, ma vissuta per quanto possibile.

Tutti abbiamo studiato le dinamiche del nazionalsocialismo e della Shoah sui libri di storia, sin dall’infanzia. Ma essere lì, camminarci in mezzo, toccare con mano, è tutta un’altra cosa. È un altro livello di conoscenza, ci si rende veramente conto della portata di quanto avvenuto. Non si impara la storia soltanto a livello accademico, distante, apatico, ma si impara dalla storia anche a livello emotivo e personale. Ed è un coinvolgimento molto diverso, più consapevole e di certo indimenticabile”.

Scopo del viaggio, fortemente voluto dalla UIL, è quello di investire nel binomio memoria/giovani affinché le pagine più buie della storia non abbiano a ripetersi. Cosa porta con sé di questo viaggio?

“Una parola: consapevolezza.

Ho compreso che tutti siamo uguali, nel senso che tutti siamo potenzialmente capaci “sia dell’immenso bene, sia dell’immenso male”.

Spesso i due opposti non sono ben definiti perché tutti abbiamo vissuti diversi ed ogni azione è conseguente ad innumerevoli cause e dinamiche. Quindi può essere vista e giudicata da moltissime angolazioni.

Quello di cui credo siamo tutti convinti è di far sempre parte dell’emisfero del bene, spesso basandosi solo sulla propria esperienza e motivazioni che ci portano a fare, o a non fare, determinate azioni. Quante volte pensiamo di essere “buoni” solo perché non compiamo una determinata azione; e quante volte nello stesso momento ci voltiamo dall’altra parte se vediamo altri farla. Eppure potremmo fare qualcosa. Non siamo forse complici anche noi nel non fare nulla? Nel girare la testa? Eppure, ad esempio, girare la testa è stata una causa complice dei fatti avvenuti in quel periodo storico. Abbiamo veramente imparato a decenni di distanza?

Credo che nel XXI secolo non siamo poi cosi diversi dalle persone che hanno vissuto quel periodo storico, da tutte le parti.

Celarsi e giustificarsi dietro a un’idea o ad un qualcosa di più elevato, non voler guardare, non conoscere e non conoscersi, avere paura di conoscere e conoscersi davvero, non voler mettersi nei panni dell’altro. Il “male” esiste e bisogna guardarlo per riconoscerlo. E non è un concetto astratto o un qualcosa di religioso, ma una conseguenza di cui spesso non ci si rende nemmeno conto finché non si subisce. Non pensarci o guardare altrove spesso gli spiana solo il terreno. Non lo percepiamo, ma certi vuoti sono pericolosi.

Personalmente, come ho detto all’inizio, ho portato a casa una maggior consapevolezza, una maggior conoscenza non solo della storia, ma anche di me stesso”.

Che esperienza è stata?

“È stata un’esperienza molto forte, coinvolgente.

Spesso, camminando in quei luoghi, ho cercato di viaggiare nel tempo con la mente, di immedesimarmi nelle persone dell’epoca tentando di capire come mi sarei sentito in prima persona in quelle situazioni. Non credo di essere riuscito davvero ad immaginarlo.

Credo che un viaggio di questo tipo sia un’esperienza molto individuale. Tutti abbiamo un’emotività unica, personale e diversa. Posso solo consigliare di fare questa esperienza in prima persona. Di certo, chiunque, può solo che ritornare a casa più arricchito di prima”.

C’è qualche momento o luogo che l’ha toccata in modo particolare. Ce lo può raccontare?

“L’emozione più intensa, quasi paradossalmente, l’ho provata guardando una sola foto.

All’interno di uno dei blocchi di Auschwitz si trova un corridoio chiamato “Galleria degli Sguardi”, nel quale sono esposte migliaia di fotografie che venivano scattate (ai fini di registrazione) ai deportati appena arrivavano nel campo.

Per ogni volto esposto sono indicati il nome e le date di nascita, di arrivo nel campo e del successivo decesso.

Camminando lungo il corridoio mi sono soffermato sulla foto di una giovane donna, precisamente sul suo sguardo. Ho percepito tutte le emozioni di quel triste sguardo: la coscienza di essere abbandonati, la paura, il bisogno di aiuto e forse ancora la flebile speranza. Era uno sguardo a cui era stato rubato quasi tutto.

Dalle date sottostanti ho appreso che la donna nella foto era deceduta – o meglio, era stata uccisa – circa due mesi dopo quello scatto”.

In un momento storico in cui da più parti si registrano crescenti forme di intolleranza, che messaggio/testimonianza vuole lanciare ai colleghi che non hanno potuto partecipare al viaggio e, in generale, a tutti i giovani?

“Rispondo a questa domanda citando una frase del filosofo George Santayana: “chi non conosce la storia è destinato a ripeterla”.

Credo che il mondo odierno ormai percepisca il nazionalsocialismo e la Shoah come degli avvenimenti storici appartenenti al secolo scorso e per qualche motivo superati e non potenzialmente ripetibili in altre forme o contesti. Da questa esperienza ho invece imparato a non dare più per scontata questa sicurezza.

A mio parere, la cosa più terrificante di quanto accaduto è la schematizzazione, la premeditazione e la razionalità con cui i nazionalsocialisti hanno attuato questo crimine. Alcuni dei presupposti su cui tutto questo era stato creato sono il pregiudizio nei confronti di chi è diverso e l’odio verso un nemico che era stato appositamente reso tale dalla propaganda di Hitler.

I nazisti, a partire da queste basi, erano riusciti a far passare come “normalità” un genocidio di massa. I deportati non venivano percepiti come persone ma come materiale da lavoro, non si usava la parola uccidere ma ad esempio: purificare.

I terribili crimini attuati venivano nascosti e giustificati dall’ideologia, dalla convinzione di essere solo la minuscola ruota di un ingranaggio e per questo di non avere colpe.

Lo sterminio avvenuto all’epoca non era stato deliberatamente scelto dal popolo tedesco, Hitler non sarebbe mai salito al potere propagandano uccisioni di massa, tuttavia sono avvenute, nascoste e camuffate dietro a un sistema progettato in ogni suo risvolto e che ha trovato fondamenta in pericolose leve e dinamiche sociali.

Invito chiunque ne abbia la possibilità a toccare con mano quei luoghi, a entrarci in contatto, ad imparare dalla storia guardando il presente, a conoscere ciò che è diverso da noi. Solo in questo modo è possibile individuare simili eventuali focolai e a spegnerli in tempo.

Il pregiudizio è una terribile bestia dalle conseguenze immisurabili che fa leva sull’ignoranza, è subdola e a volte nemmeno si percepisce. Solo tramite la conoscenza è possibile smascherarla”.

Trieste, 5 ottobre 2019